domenica 30 novembre 2014

Le ali del camaleonte - Opsie

artist Thomas Dodd


Piovono fronde di speranze spezzate dalle mani dei figli senza padri.
Straordinario paradosso.
I figli senza padri non piangono i padri, piangono la speranza che li ha resi orfani.
Velleitaria sintonia in un fruscio d'ali di carne improbabile: le ali del camaleonte.
Queste ali portano i cambiamenti che solo i sogni sanno svelare, che solo le dubbie inservienti del paradosso sanno camuffare.
Le ali del camaleonte!
La dinamica è chiara solo ai rivoluzionari, a coloro che vedono il sole dalla parte oscura, che vedono la neve quando era lacrime.
Sono stanco di parlare a facce senza orecchi, senza bocche, senza occhi, sono stanco di urlare contro cadaveri ricoperti di carne.
Piovono fronde di speranze spezzate dalle mani dei figli senza padri, e il mio cuore non si sente più integrato con il vizio di vivere.
Il camaleonte osserva in lacrime l'orizzonte dalla cima dell'albero più alto della foresta e, si lancia nel vuoto senza più le ali.





sabato 29 novembre 2014

La ragazza di vetro - Silvana Di Girolamo




Come un coccio di vetro
Agitato
Dalle onde del mare
Verrò levigata
Cambiata
Da questo agitare

E quando mi spezzerai
Rinascerò da quei cocci
Fragile e incorruttibile
Come un cuore
Racchiuso nel dolore


photo dal web

Contusione - Sylvia Plath





Il resto del corpo è slavato,
colore di perla.
Il colore affluisce nel punto, viola opaco.

In un pozzo di roccia
il mare succhia ossessivo,
una cavità perno di tutto il mare.

Grande come una mosca,
il segno fatale
striscia giù per il muro.

Il cuore si chiude,
il mare rifluisce,

gli specchi sono velati.



ph dal web

venerdì 28 novembre 2014

Sospensione - Silvana Di Girolamo


Mi tirava addosso quei silenzi
Lo faceva con gli occhi
Occhi che non avevano voglia di parlare
In quella estate che non ho capito

E questo autunno che non sa di castagne
Rimane come bloccato nella mente
Lontano dai ricordi
Avulso da questo presente

Tutto rimane sospeso
La goccia che non cade
Il freddo che non viene
L'attesa oramai scevra

Unica costante
Quegli occhi aperti e muti


Digital on Paper by Michael Bilotta




giovedì 27 novembre 2014

La Notte - Gianni Gualmini




Vorresti vedere un'altra vita,
raccontare un'altra storia e
renderla piena di colori.
Questa è la notte, mentre
un fiore si sfoglia nell'acqua,
mentre si leva il profumo...
la luna filtra.
Il mondo esterno

fa paura.
Se l'animo è sereno
la notte è invitante.

Nessuno si accorge dove sei
passato.
Vi è comunque sempre una
luce là in fondo e gli effetti

li puoi condividere.



immagine dal web


E poi .....Resti di pizza e telecomando Dinka


Immagine Jurgen Knief


Che brutto ambiente la vita
Vieni espulso su questa terra
E mentre cresci impari
Tutto quel che non devi fare

La città è un intestino maleodorante
Che luccica nelle sue strade buone
Quelle abitate dai rispettabili

Agli incroci non esiste la pietà
Semafori come strumenti di tentata vendita
Estorsione tramite acqua e sapone

Marciapiedi occupati da cartelloni e insegne
Vetrine che promettono quel che non vuoi
Compra Compra Compra
Il mantra non tace ma
Il barbone coi cani lancia in aria
I suoi birilli sorridendo con gli occhi
Lui è lì «ora»
Sta vivendo la sua vita

Lo sento più realizzato
Del bianco polsino che regge il telefonino
Col gomito alzato

Non ha orologi da inseguire
Ma un presente da assemblare
Lui, i suoi cani, la strada
La vita

È sera
Il colletto rigido chiude l’auto nel box
Torna nella sua casa 
Toglie la cravatta
.....................................E poi
Resti di pizza e telecomando


martedì 25 novembre 2014

GLI UOMINI MANGIANO LE BALENE - Opsie -

Autore dell'opera Opsie


E' sicuro che i cetacei così strutturati: pazienti, lungimiranti, equilibrati, sono mangiati da noi uomini.
Come sempre gli uomini mangiano tutto ciò che credono possa riempire le loro lacune.
Le balene ci scrutano da sotto gli oceani e, quando possono non si mostrano, temono i nostri arpioni lucenti i quali straziano inesorabili la loro carne.
Navi potenti costruite da noi uomini solcano i mari, le chiamiamo baleniere, non certo in onore del prezioso ed indispensabile cetaceo ma, così da distinguerle dalle altre navi, queste, le baleniere, servono per cacciare e trascinare le carcasse prive di vita delle balene.
Gli uomini mangiano le balene perché temono la loro saggezza, temono la loro forza, temono la loro lungimiranza.
Dalla prora della sua nave l'uomo scruta il mare.
E' sempre pronto a scagliare il suo lucente arpione contro il cuore della balena quando la vede uscire dall'oceano.
La balena è sicura che prima o poi gli uomini smetteranno di cacciarla, è sicura che prima o poi comprenderanno che il coraggio non si ruba al sangue dei forti ma, si forma nel cuore dei temerari.
Intanto, come una madre ostinata continua a farsi lacerare la carne dai nostri arpioni lucenti, paziente si farà trafiggere fino a che non troveremo in noi il coraggio che cerchiamo nella sua carne.

Tributo - dg Dinka


Il mostro mi guardava in un modo così accattivante. Non ero sicura di avere abbastanza orrore di lui. I suoi occhi mostravano un corollario di attrazioni che aveva il sapore di tutte le cose che avevo omesso di fare o di dire in tutti i miei anni. La sua lingua pendeva di lato fino al petto. La saliva gocciolava provocando nubi di vapore e sfrigolii.
Mi chiedevo stupita perché non fossi terrorizzata. Le mie ginocchia erano salde, la mia mente serena.
Mentre lo guardavo vedevo il suo corpo diventare sempre più traslucido. Luccicava e si appiattiva. Finche' non si trasformò in una superficie liscia. Uno specchio! Mi guardai e dal riflesso vidi. 
Vidi tutte le cattiverie subite e mai vendicate. Vidi i miei nemici nutrirsi di odio e crescere, ingigantirsi e rafforzarsi, mentre una specie di ragnatela gli cresceva intorno trasformandosi in filo spinato.Vidi altre donne piegate dal mio stesso amaro destino. In ginocchio, deboli e stremate, senza più vita nella mente. 

E infine vidi Lui, il padre di tutti i mostri.

Inutile descrivere quanto fosse orribile. Ebbi un attimo di smarrimento, vacillai … Poi guardai meglio i suoi occhi. E mi accorsi che anche lui vacillava. Aveva un’espressione sorpresa e impaurita, ci credereste?
La cosa mi stupì a tal punto che ad un tratto mi sentii forte come mai ero stata prima. Avessi avuto tutta questa forza quando i soldati mi presero ...!
Quel ricordo mi stava indebolendo. Lo scacciai e servendomi di esso come una leva mi ersi in tutta la mia nuova statura. Perché stavo crescendo.
Stavo prendendo una stazza da colosso e mi sembrava del tutto normale. Perché adesso avevo tutto chiaro.
Io ero il filo spinato che cresceva intorno al mostro.
Io ero quella che lo stava piegando, io ero la vendicatrice di tutte le mie sorelle che adesso si rialzavano e correvano verso una scia di luce.
Nell’attimo in cui realizzai tutto questo, lo sfondo cambiò. Strizzai le palpebre, perché adesso era tutto bianco e la luce riflettendosi mi faceva male agli occhi.
Solo non capivo cosa fossero quelle forme in fila. Erano forse letti?
E quelle cose che si agitavano e dimenavano lamentandosi, erano forse le mie sorelle? Ma come, non le avevo appena liberate tutte?
Man mano che mettevo a fuoco e realizzavo, un urlo sordo e basso cominciò a crescere dentro di me, che divenne acuto e selvaggio quando misi a fuoco il solito individuo, anche lui tutto bianco, con quella cosa in mano che ogni volta mi conficcava nelle carni.

Ospedale psichiatrico delle donne sopravvissute a ogni guerra. Anche quelle in tempo di pace! Talvolta persino sotto la propria casa, se non nel loro stesso letto! 


art Shirin Neshay - Rebellion Silence


Crepa - Adele Musso

la bestia circola tra le mura il corpo cede 
sin dalle fondamenta
Mia madre in silenzio mi spazzola i capelli, sento il rimpianto nelle sue mani, la sua fatica di tacere. Attraverso il male il tempo riduce l'eco della sofferenza e mentre mi abbandono alla sua tenerezza, la bestia circola tra le mura il corpo cede sin dalle fondamenta. Dietro le finestre occhi torbidi si nutrono di veleno sussurrato i vetri si appannano le mani vi scivolano sopra, restano chiuse. Le unghie si scheggiano.
E' un paese di case che sembrano sepolcri anonimi, di ergastolani fine pena mai.

Il sole s’insinua tra le crepe e muore.
Non vivo, sento il tuo fiato, le lame sull'epidermide entrano, escono come le tue parole e gli sguardi ossessivi. Io sono il tuo chiodo fisso, la tua voglia incancrenita, l’umore marcio che scivola come rivolo nei tombini.

Alberga tra le strade la nube plumbea dell'oppressione schiaccia i tetti e le tegole scolorite. Ho paura del mostro ma non lo temo abbastanza così non sento il sangue che urla per ricongiungersi al mio.

Sono qui e mi sussurri come recitando un rosario il tuo amore malato. Parli a te stesso ti nutri delle tue ragioni. Sei tra le pietre cave bocche mute come la mia.

Mi sorvegli mi guardi.

Sfuggono parole lacrime ossigeno, arriva il gelo quasi a placare questa giostra impazzita. Di questo paese mi distrugge il freddo e la sua cheta indifferenza. Dovrei fuggire ma non ho tempo stringe come un cappio. Mi rifiuta anche adesso che la mia faccia è sul selciato e non ho via di scampo. Ho visto la tua ombra ogni giorno calpestare la mia, ti ho visto addossato ai muri sbucare dai vicoli. Tu sbuchi sempre d'improvviso e cerchi di afferrarmi.

La legge stabilisce che non puoi avvicinarti per un raggio di cento metri, figuriamoci parlarmi o toccarmi ma tu obbedisci alla tua legge e sei qui adesso.

Io non voglio morire. Io morirò.

Alla gola, al petto, alle spalle. Non mi toccate stavolta è finita. Scivola il sangue disegna parole d’addio, sotto le ruote delle sirene si scompone il pensiero di morte. Muoio davanti alla casa muta e cieca davanti agli occhi di mio figlio al suo cuore stracciato. Mi avete ucciso in tanti, il silenzio, il perbenismo, il dubbio, il giudizio, tu. Non piangere madre, piangi figlio e impara che bestia può essere un uomo. Perdonate il mio essere fragile. Sbattono le persiane si chiudono su una morte che a noi non ci riguarda.

Se l’è cercata, troppo bionda, troppo stupida.

Coprite le orecchie di mio figlio, non lasciatelo solo.

ph dal web

lunedì 24 novembre 2014

Pioggia rossa - Silvana Di Girolamo


photo Daniele Gozzi


A che servono le lacrime
Danno piacere
Solo a chi le ha create

Per questo
Non piango mai

Ma quell'acqua e sale
Che resta dentro

Brucia come vetriolo

Si arrossa
Traboccando nel cuore

Lui pompa
E a volte le ributta fuori

Loro ti cercano

Attento alla pioggia
Se è rossa

Sono lacrime fuggite

Nessun ombrello 
Le può fermare

Nessun rifugio 
Ti può bastare




domenica 23 novembre 2014

Diversa_Mente - Sonia Camagni

photo Sonia Camagni

Se solo potesse portarmi via
la brama di follia.

Se sapesse trascinarmi
in un limbo di assenza
invadermi di grazia
cingermi di sereno.

Sarei quel che da sempre invidio al tempo:
quel suo scorrere imperturbabile
portando a finire il limite degli uomini

e sopra tutto
non conservare nulla.


Polvere - Donatella Maino



Dal basso, dove tra le radici
i fiori si disfano, si formano corpi
con una testa sui due lati,

i profili si sono affilati
e tagliano a spaccare
la luce della luna con fiati freddi:

brevi e acute note d'ombra
che si addensa incombente
ravvolta in fitte pieghe sullo sfondo.

L'inchiostro batte a riva
simile a un dio guerriero
di turbante e zagare avvelenato.

Dove siamo stati è solo polvere.


Immagine Franco Gardiman


sabato 22 novembre 2014

Anoressia mentale - Silvana Di Girolamo


 


E mi dicevi di andare via
Di sciogliere quel nodo
Forzare quella porta

Uscire fuori in quel nuovo mondo
Respirarne l'aria
Riempirmene i polmoni

Assaporare le sensazioni
Per rinchiuderle tutte in un respiro
Farne scorta per i momenti piu tristi
Quando la luce sembra scomparire
da ogni angolo e prospettiva

Per nutrire le mie ore di digiuno
La mia anoressia mentale
Quel rifiuto alla vita
che mi chiama quando ha fame

E vuole tutto di me


Photo Luca B Photography
https://www.facebook.com/pages/Luca-B-Photography/369123096567324?fref=ts

Aiutami a vivere - Gianni Gualmini




Stringo tra le mani
un desiderio di silenzio
senza voce.

Sfioro cicatrici
che ancora
debbo curare.

Ti prego
 non guardarmi strano...

Mi rannicchio in me.
lontano dal caos.

Aiutami a vivere.


Il muro costruito
mi tiene lontano
da passioni e sentimenti.


Mi possiede un qualcosa
che non è più amore
ma un oggetto
senza valore.


Il cuore è un'anfora frantumata.
Aiutami a vivere.

ph Adam Martinakis

venerdì 21 novembre 2014

Allontanati dalla finestra - S.A. Esenin


Luca B Photography  
https://www.facebook.com/pages/Luca-B-Photography/369123096567324?fref=ts



Non venire sotto la mia finestra
E non calpestare l'erba verde,
Da tempo non ti amo più,
Ma non piangere, taci tranquillamente.

Ho pietà di te con tutta l'anima,

Che t'importa della mia bellezza ?

Perché non mi lasci in pace...
E perché ti tormenti così ?

Tanto io non sarò tua,
Oggi non amo nessuno,

Non ti amo, ma ho pietà di te,
Allontanati dalla mia finestra !

Dimentica che sono stata tua,
Che follemente ti ho amato,
Oggi non amo, ma ho pietà 
Allontanati dalla mia finestra.



Il Ragno - Adele Musso



Hanno tirato le tende e accostato gli scuri, la stanza è in penombra, se il silenzio fosse fatto di luce, avremmo delle grosse lampadine al posto delle bocche invece siamo come dei vecchi pesci in una fontana d’acqua marcia. Spenti.
L’aria è pesante, un odore dolciastro ammorba i nostri respiri. Avverto il disagio come una fune che ci costringe gli uni agli altri e che l’assenza di luce ora accorcia ora dilata, ridicolo per chi come noi ha reciso ogni legame.
“C’è puzza qui dentro” – “è l’odore della malattia” azzarda una voce, è Giovanna le corde vocali masticate dal fumo, sembra un uomo. –No, non è la malattia è il male fuoriesce, libero. Questa è Alba la mia gemella, l’ombra più piccola appartiene a Pablo, c’è anche lui. Il buio ci protegge da noi stessi consegnandoci un coraggio che non ci appartiene. Siamo venuti tutti, non saremmo mancati neppure da morti.
Lei è enorme ma forse lo immagino soltanto, mi appare come un ragno al centro della stanza, ne indovino le forme che schiacciano i cuscini, sfumano persino i dettagli del letto, la spalliera di ferro che domina la camera sembra rimpicciolita; d’intorno alle pareti guaste e scolorite dagli anni noi come mosche noiose appiccicate al pavimento. Nessuno fa un passo in più, questo semicerchio è un patto.
La badante invece la scruta da presso pronta a coglierne ogni fiato e movimento. – “da giorni non parla più, pare che dorma, poi d’improvviso sbarra gli occhi ti guarda che ti pisci addosso”. – Pablo sussulta- “I medici dicono che manca poco, dovevo chiamarvi”. Io non ci credo mica, i ragni per morire si devono schiacciare per bene, devi sentire il rumore sotto le suole, altrimenti scappano e si rifugiano veloci negli angoli e aspettano.
Giovanna tira vicino a se una sedia, ha il fiato corto, si lascia cadere. Ha profonde rughe attorno alle labbra, dove si rintana il buio. Ci somigliamo poco. Attilio non ha detto una parola, stringe qualcosa tra le mani, un telefonino? No un libricino, lui e le sue preghiere. Prega Attilio, prega, tanto crepa lo stesso. Se non è oggi, i medici dicono che sarà stanotte e noi questo spettacolo siamo venuti a godercelo, l’oscurità ci ha accolto e ce la teniamo sulle spalle come scialle nero.
Pablo si è accovacciato sui talloni, piange è un bambino che frigna piano solo per darti ai nervi. Ancora più piccolo ripiegato su se stesso, sembra un cane senza padrone.
- Cani, siete cani e se io vi lasciassi senza catena, mi avreste già azzannato. Cani i miei cani, bau bau Pablo, dai che lo troverai quello che ti darà l’osso-
Nostro padre invece l’osso lo aveva mollato si era lasciato morire come un naufrago che si arrende alla forza del mare. Il sale aveva spaccato il tegumento e cristallizzato il cuore. Era calato a picco senza protestare.
-Meglio un morto in più al cimitero che un uomo senza palle in casa-
E come si faceva a trovare il coraggio? Lei ti succhiava la linfa, eravamo il suo nutrimento. Nessuno era all’altezza delle sue aspettative. 
Così era accaduto che fossimo cresciuti come dei soldatini di stagno da dileggiare, da bruciare perché è facile riversare sugli altri il peso delle proprie sconfitte. La maternità non è un obbligo ma può diventare un castigo.
Adesso il ragno chiudeva i suoi cento occhi e perdeva il suo veleno. Noi quel veleno lo avevamo bevuto e ne volevamo ancora, non sarebbe stato la sua fine, l’antidoto. Chi avremmo odiato se non noi stessi incapaci di sorreggerci e di condividere il dolore, come avremmo giustificato il nostro male di vivere?
Questa consapevolezza ci univa in una veglia che era la pantomima del nostro passato, noi le sue uova marce, la sua bava filamentosa, figli ciechi di un insetto cieco. Morte o tanatosi? Sì perché da carogna qual era, avrebbe potuto rialzarsi in mezzo a quel letto e chiamarci uno per uno: Attilio, Pablo, Giovanna Alba e me quella della quale non si pronuncia neanche il nome, quella che è già morta. Mi avrebbe guardato e sarebbe scoppiata in una grande risata.
Cerco le tasche voglio che le mani ritrovino il mio corpo senza che altri se ne accorgano, in un gesto che mi consoli in segreto, sono cucite. Sospiro sconfitta dalla mia distrazione. Eppure qualcosa come per un processo osmotico sconfina e raggiunge il fascio nervoso invisibile che regge la mia impalcatura. Io faccio io il passo e avverto linee di stupore su quei volti come rette che spezzano una finta fratellanza.
Esco, torno alla luce ed è doloroso come un’epifania. Me ne vado, sono un cane della migliore razza io, la bastarda.

ph dal web

giovedì 20 novembre 2014

Avvistamenti ingannevoli - Silvana Di Girolamo


photo Digisilva


Non mi curo di amicizie scomode
Alleanze comode
Opportunismi di frontiera
Benevolenza a ore

Navigo nell'impossibile
In questa salamoia del male
Dove tutto è scopo
E ricevi il conto il giorno dopo

Ammaino le vele
Dove il vento imputridisce
Ne faccio bende per gli occhi
Il naso e il cuore

Poi appendo la coscienza 

A sventolare

Sull'albero maestro

E riprendo a navigare


mercoledì 19 novembre 2014

Cercando la luce - Silvana Di Girolamo


Voglio abbandonare il corpo
Vivere solo nella mia mente
In una nuova evoluzione

Abbasserò il velo

Poggerò i miei occhi 
Sulla coscienza stanca
Ignorerò le offese
Carezzerò i buoni intenti
Come bambini da crescere sani

Cucirò un'ala d'angelo
E una di pipistrello
Sulle mie curve spalle

Volerò sulla nuvola più densa
Per costruirci la mia nuova casa

Non parlerò più

I miei organi tattili
Si trasformeranno in gocce 
Da spargere su teste
Prive di ombrelli

E vivrò soltanto
Nella mia mente

martedì 18 novembre 2014

Luigi Finucci - Campi di cotone

Senti,
è la voce della mia mente
che parla agli antenati,
sporchi di fango e sangue
con la pelle ruvida
e il cuore caldo,
caldo come un vulcano.

Senti,
è il cammino degli uomini stanchi
che lavorano nei campi di cotone
con gli occhi rivolti verso il cielo
e non si fermano mai,

Ora sentiamo insieme
questo fervore che le società
ci han fatto dimenticare
con le loro regole,
sfidiamole con le nostre libertà
e con le catene del passato
per poter essere creature
che dominano il mondo
in cui vivono.

Senti,
cosi che tu possa vivere
senti,
cosi che tu possa morire in pace.

ph dal web


lunedì 17 novembre 2014

Farfalla annegata - Vincenzo Dei Leoni


Seduto sugli scogli, ascoltando il mare … Scrivendo da solo, con una penna è un pezzo di carta … pensieri sulla vita, sulla strada fatta, per arrivare dove, arrivare qui … arrivare? … Forse … oppure arrendersi, arrendersi proprio qui … il mare di fronte, un po’ di vento, le onde … l`acqua è nera, è profonda … stava calmo quando sono arrivato, come uno specchio, un specchio ed io mi siedo di fronte … forse i miei pensieri l`hanno agitato … sempre più forte battono le onde contro gli scogli, alzo la testa per guardare, sto troppo vicino, si bagna il foglio … un po’ di pausa, ne ho bisogno … levo il foglio, accendo una sigaretta, guardo il mare e ascolto … passa una farfalla, mi prende quasi in pieno, vola un po’ ubriaca, forse per colpa del vento … la seguo con lo sguardo, non vola più sulla terra … sopra il mare, vola questa farfalla, forse ubriaca, forse rapita dal vento … forse combatte per la sopravvivenza … sembra che abbia paura, difficoltà di stare in alto, di non toccare l`acqua … si avvicina, anche troppo, sale in alto … scende di nuovo … e si salva … vola e combatte, si avvicina alla scogliera, altri cinque metri, dai vola alto, lontana dall`acqua … la guardo, la tifo … appena su la superficie, noo … ha toccato l`acqua … cosa faccio, chiaro, mi butto … mi tolgo la maglietta, le scarpe, esco il cellulare dalla tasca, ci penso? No! Ho rischiato la vita per meno … lei stava lottando, voleva volare, voleva vivere, non sapeva nuotare, se fosse un bambino, una persona, un cane, cosa cambia … io rischio … so nuotare, dal mare non mi prendo paura, non so volare … forse se ho bisogno, se mi porta via il vento … forse la farfalla si ricorda, forse passa, mi da un consiglio … guardo bene, dove sta? La vedo, ok … il mare ghiacciato, almeno mi sembra … il mare che tira, le onde che spingono … trovata, sei salva … la prendo in mano, anche se è vietato, toccare una farfalla, in questo caso, scusa, ma lo devo fare … hmmm, e adesso … una mano in alto, non vorrei che si bagni di nuovo, non la voglio perdere, non annegare … devo nuotare con le onde, con il rischio che batto, batto sugli scogli … le ferite guariranno, solo graffi … spero che si riprenda, l'ho appoggiata su un fiore … sperando che si asciughi, sperando che vola …

ph dal web