Racconto





< Arrivammo che era notte. Oltre il buio, la distanza ci separava dalla Madre. La missione incombeva. Avevamo paura, ma nulla avrebbe potuto prepararci meglio di una lunga attesa dietro le dune. Una strana palla luminosa si muoveva lentamente nel cielo. A guardarla faceva male agli occhi. Ci sentivamo scoperti. Quello che vedevamo intorno a noi era uno spazio troppo infinito da immaginare. Ci stringemmo ancora di più, almeno quel tanto che ci permettevano le nostre corazze. Eravamo davvero tanti! Guardarci tutti ci metteva coraggio. Il numero è la nostra forza, ripetevamo tra di noi. Riusciremo nella nostra missione di sopravvivenza, l'intero popolo dipende da noi, da quello che saremo capaci di concludere in queste poche ore. Dall'inizio della fila ci giunse il sibilo del comando. Serrammo ancora di più i ranghi e ci precipitammo tutti nella stessa direzione, seguendoci l'un l'altro come ci era stato insegnato durante il lungo addestramento. I guastatori avevano trovato un punto debole e da li ci riversammo dentro come un fiume in piena. Il nostro apparato in dotazione ci permetteva di dirigerci a colpo sicuro verso la meta. Quelli più avanti di noi avevano già raggiunto l'obiettivo e un'altra fila si stava già formando con direzione inversa alla nostra. Il bottino era davvero di quelli eccezionali, così come ci aveva garantito Il Saggiatore.
Tutto andava a meraviglia, l'operazione si svolgeva con grande efficienza e velocità. Non avremmo tardato ad ultimare la missione e tornare sani e salvi dalla Madre con un prezioso bottino.
 Uno strano rumore ci allarmò. Sembrava come di acqua che cade. Per un attimo ci bloccammo spaventati, poi arrivò l'ordine di continuare..... >

 < La sua vescica era ormai una crêpe inservibile, le toccava alzarsi due tre volte a notte. Era stata dal dottore, quell'eurologo le aveva prescritto delle pillole. Le aveva provate, ma l'unico effetto, peraltro non previsto, era stato quello di coprirsi di un rush cutaneo stile fuoco di sant’Antonio. Aveva provato col vaso da notte, ma più di una volta lo aveva rovesciato giusto quando era già pieno. Infine la mutua aveva preso a passarle quegli osceni pannoloni da superbimbaminkia. Ma non ce la faceva proprio a sopportarli, anche perché provateci un po’ voi a mettervi il pannolone da soli! Lo attacchi da una parte e quando provvedi dall'altra, ti accorgi che è tutto sbilenco. Riprovi una, due, tre volte finché non si spappola tutto per casa, che poi ti tocca pure ripulire!
Anche quella notte era già la terza volta che si alzava. Aveva sonno, Cristo! Bei tempi quando se la tirava sei sette ore di fila! Che la mattina era lucida e attiva, non come adesso, una perenne rincoglionita che mastica risentimento a ogni passo che muove.
Dopo la solita interminabile attesa che anche le ultime gocce di urina fossero venute giù, si asciugò alla meglio, si tirò su dal water, si girò e tiro lo sciacquone .... >

< Gli ultimi granelli di zucchero, questa meravigliosa sostanza che ci avrebbe permesso di crescere e moltiplicarci a dismisura, stavano per essere raccolti dai soldati operai. Ci sentivamo davvero euforici e soddisfatti come solo una missione audace e ben riuscita può rendere un esercito, quando un tremendo rumore ci fece ringoiare tutta la nostra boria in un solo respiro..... >

< Si sciacquò sommariamente le mani e aprì quella terribile porta a soffietto di cui persino lei, con la sua sordità acuta, percepiva il frastuono. Ciabattò un piede dentro la cucina e si bloccò! Una doppia fila di quelle insopportabili formiche si dipanava proprio tra lo stipetto dello zucchero e il davanzale della finestra. Con un grugnito di disapprovazione e trionfo nello stesso tempo allungò la mano lateralmente verso lo scaffale dove aveva preventivamente riposto la bomboletta di insetticida, ma nell'alzare il braccio troppo repentinamente si sbilanciò barcollando e rovinando sul pavimento. Inutile specificare che le sue fragili ossa di 87enne non ressero l'impatto e che anzi qualcuno più che rompersi si sbriciolò. Di più! Metà della sua faccia nell'incontrare il pavimento cedette come il guscio di una lumaca schiacciata da uno scarpone e prese a sanguinare copiosamente. A questo punto, grazie ad un pietoso meccanismo anti choc, la vegliarda perse totalmente i sensi ...>

< Qualcosa di enorme comparve all'improvviso muovendosi verso di noi. La sua imponenza era tale da far tremare anche il più temerario di noi, che pure eravamo in tanti. Il tempo si fermò per un lunghissimo istante durante il quale sembrò che il mondo intero perdesse un battito. Poi la cosa si mosse, caracollò e precipitò su di noi. Le file si ruppero e seguì un parapiglia guidato solo da un cieco terrore. Molti di noi scomparvero alla vista sotto quella specie di montagna morbida.
Ma il soldato annidato dentro il nostro raziocinio reagì e, quasi come parte di un solo essere, smettemmo tutti di correre all'impazzata. Convergemmo incontro quella cosa, che ora non si muoveva quasi più, attirati anche da un odore fortissimo che sembrava sgorgare da quell'abominevole massa. Qualcosa di liquido e viscoso si stava ora spandendo sul pavimento e l'odore veniva proprio da li. L'analizzatore di sostanze incorporato dentro ognuno di noi ci disse che si trattava di un elemento ricchissimo di nutrienti vitali. Cosi ricco che poche gocce sarebbero potute bastare ad ognuno di noi per sopravvivere ad un intero inverno. Non fu necessario nessun comando perché tutti ci riversassimo all'unisono in direzione di quella incredibile manna. Molti rimasero invischiati su quella sostanza appiccicosa, e vennero usati come gradini per arrivare direttamente sulla cosa che la produceva. Seguendo la scia ci riversammo dentro delle rosse caverne che sembravano la fonte di quell'incredibile abbondanza. Una voluttà demoniaca ci prese mentre sguazzavamo in quel rossore profondo, dimentichi di tutto, salvo di quel presente.
L'ebrezza selvaggia che provavamo aveva qualcosa di atavico, qualcosa che ci riportò tutti quanti allo stadio primordiale della nostra coscienza. Secoli di evoluzione e addestramento vennero spazzati via in un colpo solo grazie a quell'odore così viscerale. Ormai ciascuno di noi aveva perso ogni pensiero collettivo ed era tornato ad essere solo ed esclusivamente un individuo, conscio unicamente del proprio istinto e del bisogno che imperava attraverso di esso. Nulla di strano quindi che nessuno di noi ebbe premonizione di quanto stava per accadere ... >

< La coscienza si rifiutava di soccorrerla. Si sentiva galleggiare in una specie di sospensione animata, in cui i pensieri andavano avanti da soli, in automatico. I suoi ricordi cominciarono a vagare disordinatamente presentandosi come vecchie foto intrise di immaginarie didascalie. Lei da bambina con le trecce e un enorme fiocco sotto il mento, all'asilo da quelle troie di suore; la ragazza che era stata piena di aspettative nonostante gli anni della grande guerra; l'amore che non era venuto, anzi che l'aveva tradita ancor prima di essere suo; la donna matura e acida che era diventata, costretta a lavorare dodici, quattordici ore al giorno, festivi compresi; infine la vecchiaia, con tutte le sue lordure, le interminabili giornate sempre uguali attraverso le stagioni, i giorni e le notti, l'ora della pillola, del giornale radio, le alzate notturne per pisciare.
Queste ultime immagini le servirono come trait d'union. In una impennata di coscienza tornò in se e si rese conto di essere a terra, con diverse ossa sbriciolate sotto di se e copiosamente sanguinante. Maledicendo l'aspirinetta che la costringevano a prendere per evitare un ictus, responsabile ora di quell'inarrestabile emorragia, cercò di radunare i pensieri e capire come effettivamente stava messa. Non provava paura, il suo carattere arcigno temprato dagli anni di solitudine ed astio ben coltivato nei confronti della vita stessa, la rendevano immune sia all'auto compatimento che al panico. E però non poteva di certo rimanere per sempre così, doveva studiare la situazione. Era così concentrata nel trovare una soluzione, così intontita dalla micidiale botta che aveva preso in pieno viso cadendo, che si accorse solo in quel momento di qualcosa di strano, qualcosa che non tornava. E si, perché quel formicolio che sentiva dentro al naso, la bocca e le orecchie aveva qualcosa di eccessivo perfino nelle sue condizioni! Aprì un occhio tanto quanto le era permesso dalla contusione e si ritrovò a guardare dritta in faccia una formica che, agitando le sue zampine anteriori la azzannò con il suo apparato boccale. Urlò, non tanto per il dolore o la paura, quanto per l'onta ricevuta. Quelle stronze! Era tutta colpa loro! Adesso la stavano smontando pezzetto per pezzetto e portando via nella loro lurida tana. Solo che lei non era un pacchetto di zucchero! Lungi da lei l'orrore che la situazione avrebbe dovuto procurarle usò, come sempre, quella rabbia per accedere alla sua riserva personale di metodi di vendetta. Infatti era perfettamente conscia di essere spacciata e la cosa non le dava nessun dispiacere, anzi cominciava a provare una sorta di selvaggia gioia nel constatare che le veniva data l'occasione di andarsene facendo danno. Doveva solo resistere fino a quando non le sarebbe venuto chiaro in mente come. >

< Sono l'unico superstite di una guerra batteriologica perpetrata ai nostri danni. Noi! Un popolo glorioso che si faceva vanto di possedere le migliori capacità organizzative del pianeta. Noi! Una immensa colonia nota per la sua forza e la sua astuzia.
Ma anche il più colossale dei giganti cade se l’istinto sopravvale sull’intelletto. Impazziti per quel liquido viscoso emesso da quella cosa, perdemmo ogni ragione ed ogni cautela. Non una guardia rimase a vigilare, nessuno che dirigesse la moltitudine ormai posseduta da una brama indescrivibile, giacché quella maledetta sostanza dava alla testa come il più pericoloso dei poteri….
Evidentemente l’odore era così penetrante che i suoi effluvi arrivarono fino alla Madre. Fu così che l’intero popolo di cui mi onoravo di far parte, si ritrovò a banchettare su quella immensa e generosa carcassa. >

< Lottava per rimanere sveglia. Lottava per avere quel minimo di ossigeno che il suo cervello in lavorio reclamava. Elaborava piani che subito era costretta a scartare per evidenti problemi tecnici, visto che era bloccata lì e niente avrebbe potuto compiere il miracolo di farla muovere. Intanto deglutiva più formiche che poteva. Il suo stomaco di ferro, capace di digerire anche locuste, era entrato a far parte degli aneddoti di famiglia. Quando si voleva fare l’esempio di qualcosa capace di sciogliere più dell’acido delle famiglie mafiose era al suo stomaco che si faceva riferimento. I malcapitati insetti, nonostante il loro carico incorporato di formalina, facevano una orribile fine bruciati dagli acidi gastrici e dal livore della vecchia. Intanto il tempo stringeva. Quelle bastarde parevano aumentare ad ogni secondo, non poteva certo sperare di inghiottirle tutte. Una risata le scrosciò nella mente, immaginando che non avrebbe avuto il tempo necessario per vederle trasformate in merda il mattino dopo. Ruotò gli occhi intorno cercando qualcosa che le potesse dare un’idea di come attuare la sua tremenda vendetta nei confronti del mondo.
Un bel fuocherello che si portasse via tutto il maledetto palazzo che l'aveva vista crescere e miseramente invecchiare, per esempio. Ma come arrivare al tubo del gas e all'accendino?
Almeno far correre i pompieri a sgomberare tutti gli inquilini, quei maledetti stranieri, gentili si, ma che non capiscono un cazzo quando gli parli!
Fu allora che si ricordò di avere dato un giorno le chiavi del suo appartamento a quell'impicciona della signora di sopra. Lia non era certo straniera! Anzi fin troppo palermitana! La sua lingua era nota nell'intero quartiere, fino al Borgo Vecchio e ritorno. Ma una volta che aveva avuto una brutta bronchite aveva dovuto cedere, le aveva dato un mazzo delle sue chiavi perché potesse portarle le medicine dalla farmacia. E da allora la stronza aveva inventato mille e una scusa per non restituirgliele quelle chiavi. Quando aveva capito che tanto se ne era fatta sicuramente una copia, aveva desistito a chiederle indietro. Così d'istinto cominciò a battere con la mano sana la bomboletta di insetticida sul piede metallico del vecchio tavolo rivestito di formica della cucina. Si stancava in fretta, doveva riposare a lungo dopo una decina di colpi, ma contava sul fatto che ormai era l'alba, il momento di massimo silenzio di tutte le 24 ore. >

La signora Lia Verruso si era sempre alzata all'alba. Detestava le sveglie, non ne aveva mai posseduta una e quando suo marito era morto era stata la prima cosa che aveva fatto sparire del defunto. Aveva sempre odiato quel tic tac che sembrava comandare ogni suo attimo di vita, ogni respiro dell'aria che ingoiava. E che aveva scandito ogni minuto della lunga malattia di quell'uomo.
Lei non ne aveva bisogno, punto! Sapeva percepire l'attimo stesso in cui il sole faceva capolino su questo emisfero terrestre, il suo corpo lo sentiva e si svegliava all'istante, pronta e vispa come una scolaretta al suo primo giorno di scuola. Lei viveva all'unisono con l'ambiente che la circondava e conosceva ogni rumore del quartiere a quell'ora. Come un direttore d'orchestra sapeva un attimo prima che suono avrebbe sentito e ne sapeva interpretare il significato. Per questo avvertì subito la voce fuori dal coro in quella umida mattina di marzo. E allenata com'era, non le ci volle molto per capire da dove venisse. Solo non riusciva a comprendere perché la signorina del piano di sotto producesse quello strano rumore metallico, oltretutto fuori tempo, privo di ritmo. Strideva proprio con l'armonia dei suoni naturali che era abituata a sentir provenire dal palazzo. Si spostò di stanza in stanza finche non fu proprio sopra a quel rumore. Adesso poteva percepirlo anche con i piedi. Era terribilmente stonato! D'altra parte corrispondeva perfettamente al carattere stridente della vegliarda, non ci si poteva aspettare nulla di melodioso da lei, da una personalità così sgradevole.
"Si ma ...perché? Perché mai le è venuto in mente di mettersi a 'suonare' come una jazz band fradicia di rum a quest'ora così melodiosa del giorno? "
Mentre si faceva queste domande cercava di calcolare il punto esatto di origine di quello strimpellio sgraziato. Non riusciva a stabilire se provenisse dal bagno o dalla cucina. Ma ecco che il suono cessò del tutto. La signora Lia ringraziò mentalmente qualunque cosa fosse intervenuta perché ciò accadesse e tornò alle sue faccende.
La vecchia era allo stremo. Maledicendo quella brutta stronza del piano di sopra che non capiva un cacchio, svenne. Per parecchio tempo stavolta.

(Sono l'unico superstite di una guerra batteriologica perpetrata ai nostri danni ………………………………………..)
< Lo spettacolo che si offriva ai miei increduli e desolati occhi era al di fuori di qualsiasi previsione. Prima andava tutto a meraviglia, il mio petto si gonfiava di orgoglio nell’ammirare la perfezione del meccanismo ben oliato quale era il nostro esercito. Un rarissimo esempio di efficienza ed obbedienza. E ora ...! Ora non riuscivo più a guardare quello scempio in cui si era trasformato. Tutto per quel liquido che rapidamente si rapprendeva. Non avevo mai visto nulla del genere. E quell'odore! >

< Alle nove esatte, come tutte le mattine, la signora Lia Verruso, vedova Giambattista, scendeva le scale per andare a fare la spesa. Amava comprare gli ingredienti da cucinare freschi di giornata. Non riusciva a comprendere quelli che si armavano di auto capienti e andavano a fare la spesa per un'intera settimana, di certi articoli addirittura per un mese. Fare la spesa per lei era un gioioso piacere, la scelta uno per uno dei pomodori freschi, appena portati dallo Scaro (mercato ortofrutticolo all'ingrosso), il profumo sprigionato dal mazzetto di basilico appena raccolto ... Nulla aveva eguali, a volte si saziava così tanto di quei colori, di quei profumi, che a casa non cucinava, rimaneva ad ammirare quel che aveva accuratamente selezionato dai suoi bottegai di fiducia. Li disponeva sul tavolo da cucina come un quadro, una natura ancora viva, e di tanto in tanto durante il giorno sostava per ammirarla. A sera buttava via tutto, ritenendo di avere contaminato ogni cosa guardandola troppo.
Alle 10,15 era già di ritorno. Era stata così distratta al pensiero di quello che era accaduto quella mattina all’alba che aveva deciso di prendere solo delle uova per una bella frittatina con le patate. Si era messa in testa di indagare su quella faccenda e l’unico modo era chiedere direttamente alla vecchia, a costo di farsi cacciare via in malo modo, come era successo anche l’ultima volta. Decise di farlo subito, senza nemmeno lasciare la spesa a casa. Così si fermò sul pianerottolo del terzo piano e concentrandosi tentò di percepire se provenissero dei rumori dall’appartamento della signorina. Non si sentiva nulla. Non che fosse strano. Quella donna non aveva nemmeno il motorino elettrico per pompare l’acqua nei rubinetti. Sapeva che spesso staccava la corrente anche al frigo. Non possedeva nemmeno un boiler. Non guardava televisione. L’unica cosa che usava era una radiolina che ciabattava sempre insieme a lei per casa.
Nessun rumore! Prese coraggio e si decise a suonare il campanello che però era staccato. Prese a bussare con le nocche della mano, dapprima timidamente. Poi insistentemente. Nessuno rispondeva. Prese la decisione di andare su a casa sua e cercare le chiavi che un giorno le aveva dato, quando si era presa una brutta influenza. Salendo le scale uno strano nodo allo stomaco la prese. Avrebbe voluto non possedere quelle chiavi. Ma subito si riprese, Lia Verruso non aveva timore di nulla! Aprì la porta di casa sua, sistemò velocemente la spesa, aprì il cassetto della credenza, ne scelse un mazzo di chiavi e fu di nuovo sulle scale.
Bussò ancora un paio di volte mentre provava le serrature cercando le chiavi giuste per quella fortezza. Finalmente fu dentro. Le sue narici fremettero e si arricciarono. A tentoni entrò facendosi guidare da un filo di luce verso il quale si diresse, entrando così in cucina. Allora vide!
Per prima cosa pensò di abbattere quell'esercito di formiche. Lo schifo che le prese al macello che le toccò vedere le fece agguantare la bomboletta di insetticida e, senza badare nemmeno alla signorina, spruzzò, spruzzò ovunque vedesse formiche, in un raptus orgiastico di voluttuosa soddisfazione.
Quando ebbe svuotata la bomboletta si guardò attentamente intorno, controllò che nulla si muovesse sotto il raggio acuto del suo sguardo, poi si lisciò il vestito, si toccò i capelli controllando che fosse tutto a posto e finalmente si rivolse alla signorina che giaceva li per terra, scompostamente riversa sulla soglia della stanza da bagno, i piedi dentro e tutto il resto sul pavimento della cucina. La faccia era una maschera impiastricciata di sangue coagulato e formiche. La guardò a lungo credendo fosse già morta, chiedendosi cosa fare. Ma tutto quell'insetticida spruzzato nell'angusto ambiente, la disidratazione dovuta anche alle molteplici emorragie, causarono spasmi laringofaringei alla vecchia, accompagnati da raschiosi colpi di tosse che annunciarono al mondo e alla signora Lia che lei, malgrado tutto, c'era ancora.
Un occhio pesto si aprì a fatica scansionando l'ambiente, avendo avvertito una presenza ....
"Cazzo come sto male, mi sento proprio una merda!" Fu il suo primo pensiero cosciente, nonché una constatazione. Il corpo non lo sentiva quasi più. Non distingueva gli arti, il tronco, le mani. Un unico rottame gonfio, dolorante, tumefatto. Per un lungo attimo credette di essere già trapassata a peggior vita. Avvertendo qualcosa che si muoveva sopra di lei cominciò a pensare che dopotutto gli angeli esistevano veramente. O era un avvoltoio?

"Signorina! Occristo, signorina, ma è ancora viva?"
La signora Lia ci restò quasi secca, non se lo aspettava proprio!  Questa cosa la gettò veramente nel panico. Infatti se fosse stata già morta, amen, avrebbe chiamato qualcuno e la cosa sarebbe passata in mani altrui. Adesso invece cosa doveva fare? Cercare di soccorrerla? Non si capiva nemmeno dove fosse sana e dove frantumata. Aveva l’aspetto di un gigantesco croissant alla ciliegia finito nel bidone della spazzatura e assalito dalle formiche. Non riusciva a toccarla, non capiva come diavolo era riuscita a sporcarsi in quel modo e ad avere quell’aspetto così terribile. Si limitava a chiamarla, ma la vecchia non rispondeva e non si capiva nemmeno se ce l’avrebbe fatta. Fu tentata di correre via e tirarsi l’uscio di casa dietro, ma un senso di auto decoro glielo impedì (Che non si dica mai che Lia Verruso non soccorra i bisognosi!).
Non riusciva a fare nulla di tutto ciò che le veniva in mente, il disagio che provava era smisurato, la frustrazione crescente. L’onta del panico che le prese la fece veramente incavolare. Fu allora che si mise ad urlare chiamandola così forte che cominciò ad accorrere il vicinato, orda curiosa e famelica di tragedie altrui.
La mente della vecchia navigava tra nubi dense come ovatta, faticava immensamente a raccapezzarsi. Non capiva se stava immaginandosi tutto, se era un sogno o se stava accadendo davvero. Aveva visto il diavolo sopra di lei che la chiamava a gran voce. Per nulla spaventata gli aveva risposto e gioendo interiormente, aveva subito pensato di cogliere l’occasione. Chi infatti meglio del Diavolo in persona poteva aiutarla? Tanto sarebbe finita comunque all’inferno, quindi tanto valeva sfruttare la situazione a suo vantaggio. Così si era presentata cercano di amicarselo, dicendogli che era da sempre una sua ammiratrice e che era pronta a seguirlo ovunque lui volesse, solo in cambio chiedeva un favore, certamente una piccola cosa per un gran Signore delle Tenebre come lui. Gli aveva chiesto di esercitare il suo potere sul fuoco e mandare al rogo l’intero palazzo. In fondo ci avrebbe guadagnato un bel po’ di anime che, anche se non lo riconoscevano come Satana e lo chiamavano con un altro nome, sarebbero finiti comunque arrosto nel suo calderone. Il Diavolo aveva allora alzato il suo scettro e con esso aveva sparso il fuoco. Molta gente urlava e si dimenava intorno a lei. Pur non vedendo le fiamme pensò che stavano bruciando tutti insieme, anche se solo lei ne era felice, felice di non andarsene da sola, felice di trascinare con se nel peggiore dei posti tutti quelli che le avevano reso la vita un inferno. Adesso la puzza di piscio di gatto che aveva dovuto sopportare era vendicata, quella dell’odioso soffritto di cipolla alle 7 del mattino pure. Persino la finta pietà della vicina che le portava spesso un piatto di pasta già pronto, quello che lei appena chiusa la porta buttava nella pattumiera. Era sicura che si trattava di avanzi e lei non voleva la carità di nessuno.
Più gente urlante vedeva intorno a lei, più si sentiva felice. Avrebbe voluto avere la forza di gridare loro "All’inferno! Tutti all’infernoooo!" E si immaginava la faccia che avrebbero fatto. Impauriti, imploranti, mentre lei rideva, rideva sempre più sguaiatamente, tra colpi di tosse e crisi respiratorie. Non capiva come, ma il suo piano aveva funzionato, non era stato neanche difficile, anzi! Ora nemmeno una pietra di quel maledetto palazzo costruito da suo nonno sarebbe rimasta in piedi dopo di lei.
Dopo questo vaneggiamento la vecchia si abbandonò finalmente all’incoscienza totale. >

< L'infermiera aveva notato da giorni il mutamento nella vecchia signora (signorina, come puntualizzava sempre lei quando era ancora in se). Da quando era caduta dal letto era gravemente peggiorata. Raramente riprendeva conoscenza e quando accadeva sembrava si rivolgesse a qualcuno con monologhi incomprensibili. Lei ci aveva provato a districare le frasi smozzicate, a rimettere in fila le parole in modo che avessero un senso. Ma non ci aveva ricavato nulla di comprensibile, non per lei almeno! Anzi, aveva notato che quando si avvicinava di più per sentirla meglio, la signorina si agitava e sgranava gli occhi quasi che volesse mangiarsela con quelli. Una volta erano stati costretti a legarla, si ostinava ad agitare un braccio protendendolo pericolosamente fuori dal letto. Si era sempre chiesta che cosa vedessero le povere anime in procinto di lasciare questa terra, in che dimensione ondeggiassero. >

< Il vociare era tremendo! Il vicinato si accalcava urlando e spingendosi nell’angusta cucina della vecchia casa. Le donne si segnavano ripetutamente. Quella vicina era sempre stata parecchio stramba, ma adesso sembrava posseduta dal demonio. Contorceva quel che era rimasto del suo viso in un ghigno che aveva veramente un che di satanico, i denti snudati e macchiati di sangue. La Signora Lia, per la prima volta nella sua vita, stava impietrita non riuscendo a staccare gli occhi da quello spettacolo grottesco. Dopo non sarebbe mai più tornata come prima. Degli strani tic l’avrebbero disturbata per il resto della sua vita che avrebbe passato a strofinare col sapone ogni centimetro del suo corpo. >

< I macchinari ronzavano nel silenzio che adesso avvolgeva la stanza. Era stata una crisi peggiore delle altre, un crescendo disarticolato di suoni e scompostezze. Era stato agghiacciante, a tratti sembrava che sghignazzasse quando invece, ne era certa, erano singulti procurati dagli spasmi di dolore che la morfina non riusciva più ad attenuare. Avevano aggiunto altro cannabinolo alla miscela di palliativi che le somministravano e sembrava avere dato il giusto esito. Certo, erano sperimentazioni, non si sapeva ancora che effetto sortiva miscelare derivati sintetici e naturali, non si conoscevano le dosi, i sinergismi. Del resto la sperimentazione animale è tutta fumo negli occhi del popolo speranzoso in un miracolo. Non riusciva a capire come la gente potesse credere veramente che gli esperimenti fatti su un topo potessero dare delle serie e certe indicazioni sull'effetto di una determinata molecola nel corpo umano. >

< Sono l'unico superstite di una guerra batteriologica perpetrata ai nostri danni. Io Generale karınca, alla testa del mio esercito, sono responsabile dell’eccidio di tutta la mia colonia. Non ho saputo difenderla, non sono stato capace di prevedere le mosse del nemico. E così il malefico destino che attendeva il mio popolo si è dispiegato in questo luogo funesto. Lo stesso destino ingrato che mi ha voluto in vita perché vi raccontassi tutta la verità su questa atroce disfatta.

Arrivarono all’improvviso, proprio quando credevamo avessero sgomberato la stanza per sempre. Avevamo visto portare via la vecchia signora a cui avevamo rubato lo zucchero nascosto nel comodino. Avevamo visto uscire tutti portando con se le poche cose che arredavano il posto. Esultammo! Avevamo grandi scorte di cibo e un posto caldo e sicuro per tutto il resto dell’ inverno. Ci rilassammo e qualcuno intonò uno di quei vecchi canti che ti fanno subito sentire a casa, al sicuro. Improvvisamente una luce accecante si abbatté su di noi. Perdemmo vista ed orientamento per qualche secondo, non ci accorgemmo che la stanza era stata invasa dal nemico. L’attacco fu veloce, violento ed inaspettato. Quando realizzai cosa stava per accadere ordinai il contrattacco, ma era già troppo tardi.
La morte cadeva dall’alto e si insinuava in qualsiasi fessura, non v’era posto sicuro dove il gas non potesse raggiungerci. Vidi i miei compagni, i miei amici, il mio popolo cadere contorcendosi in atroci spasmi, giacché il gas non da morte immediata. Piansi di impotenza. E di dolore. La vista era insopportabile. Io non so per quale motivo non sono ancora morto. Forse la rabbia, la disperazione, il rimorso mi hanno tenuto in vita per il tempo necessario affinché il mondo sapesse come è stata annientata una immensa colonia nota per la sua forza e la sua astuzia. Come è sparito un popolo glorioso che si faceva vanto di possedere le migliori capacità organizzative del pianeta. Noi! >

< Adesso era giunta l'ora. I dieci giorni di incoscienza erano già scaduti, era giunto il momento di prepararla. Alla fine si era affezionata a questa donna sola, arrivata in fase terminale nella clinica della dolce morte dove lavorava ormai da anni. Fra poco sarebbe arrivata l'equipe di medici che l'avrebbe terminata, così come scelto per contratto dalla stessa signorina, quando stava ancora bene. La clinica avrebbe "assorbito" tutti i suoi averi in cambio di una morte serena e dignitosa. La guardò ancora una volta chiedendosi come fosse stata la lunga vita di questa donna, se fosse stata felice, se avesse amato, se ne era valsa la pena di vivere fin quasi ai novanta anni. Le inviò mentalmente un addio e le augurò un buon viaggio, poi controllò ancora che i tubi nel naso e la flebo fossero ben sistemati e con un sospiro usci dalla stanza. Altre mansioni l’attendevano. Aveva un modulo da compilare, una segnalazione da fare all’amministrazione. In quegli ultimi giorni aveva notato troppe formiche in giro per quella stanza. Era ora di porvi rimedio con una bella disinfestazione.

Silvana Dinka Di Girolamo        


Palermo 19 ottobre 2014                                                                                                                  

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