Era una notte araba, una notte
d'azzardo. L'abito da sera frusciava luccicando, mentre cercavi di strappare la
vincita a quei dadi. Ma il guanto ti fu infedele, lanciandoti un
nove. La tua espressione rivelò il segreto del trucco trattenuto in quelle
mani. Li seguisti sorridendo, per non trapelare la paura, quella che non
ti spaventa quando sai che è l'ultima. Ti vidi scomparire inghiottita dal
fumo e dall'agitare di mani e braccia nella bisca troppo piena. Beirut
esplodeva
anche di notte, mandando lampi di fragore, tremando la terra sotto le tue
scarpe di seta. La tua mente escogitava piani che ti fremevano negli occhi e
nei polsi.
Quando aprirono quel cancello
salutasti il mondo prima di entrare. Ma avevi ancora qualche ora da scomputare a questa vita, ore che ti saresti risparmiata.
E mentre ti cercavo dentro
quell'alba araba, tu eri già tra le urla dei feriti, ai margini del percorso
che portava gli ultimi vip a casa, dall'ultima festa all'ambasciata.
Ti trovai con il tuo vestito da
sera ancora addosso, i tuoi guanti, le scarpe di seta. Solo un grosso rivolo
rosso spezzava tutto quel nero sulle tue carni bianche buttate sul ciglio
bombardato di una via devastata. Adesso eri un quadro perfetto, surreale e
affascinante. Incongruo in mezzo a quell'inferno dove i carri armati delle
forze di pace sostavano annoiati.
Ora, non potremo più ballare quel
flamenco, Querida.
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