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Allora i gelati erano veramente "gelati". Io deglutivo e gelavo insieme al mio cono. Mi venne il mal di pancia. Ricordo che io manco lo volevo quel gelato, ma mio fratello disse "si" e mi trovai intrappolata. Perché per mio zio sarebbe stato un problema se avesse comprato il gelato solo a mio fratello. Cosa avrebbe pensato il gelataio? E i passanti vedendo quest'uomo camminare con due bambini di cui uno munito di cono e l'altra no? E non poteva certo dire a mio fratello "non ti compro più il gelato". Così dovetti mangiare il gelato che mi gelava e mi faceva male alla pancia.
Crescendo sono diventata la pecora nera della famiglia, del gruppo degli amici, della classe, dei colleghi. Sono una pecora nera non solo come figlia ma persino come madre, perché sempre inaspettatamente diversa. Quella che mette in imbarazzo, che ti costringe a riflettere perché le sue risposte e le sue domande sono fuori dai canoni prestabiliti. (Una bambina non può rifiutare un gelato, e che diamine!) Ti guardano con quegli occhi che per un attimo hanno la lucina in fondo, che spengono subito dopo, la sopprimono come qualcosa di sconveniente e poco pratico. E cercano di sopprimere pure me che ho l'ardire di pensare a modo mio. Ti guardano come un elemento pericoloso. È così in fondo, sono un essere con cui non conviene avere a che fare, troppo impegnativo e anche rischioso. Chissà cosa potrebbe dire la gente a farsi vedere con una come me!
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